20110505

N E I L Y O U N G. TIME FADES AWAY

Da quando ho diciassette anni, mi sono ascoltato più o meno un diverso disco del canadese all'anno, la mia scoperta è stata quindi graduale e mi manca ancora molto. Quest'anno, credo che sia la volta di Time Fades Away. Più o meno sono andato in ordine cronologico. Ho iniziato la somministrazione annuale con il disco forse più famoso all'interno della sua discografia, Harvest, comperato perchè leggevo che bisognava ascoltarlo. Così è stato, e da lì sono partiti tutti gli altri. Non c'è razionalità in questo comportamento, e mi piace pensare che Neil apprezzerebbe questo mio svolgimento, molto simile al suo ideale di registrazione basato su un semplice "buona la prima", all'insegna della spontaneità, del "le cose vengono come le senti" e così via. Questo è quello che mi è accaduto, un ricongiungimento periodico con la sua opera, dettato da niente di predefinito se non un semplice: ho voglia di ascoltarmi Young.
Time Fades Away è stato per lungo tempo il fratello di On The Beach: fanno parte dello stesso periodo storico, della famosa trilogia scura e fino a qualche anno fa erano gli unici a non essere stati pubblicati se non in vinile quando uscirono. Poi On The Beach arrivò di nuovo nei negozi, lasciando solo a questo disco il guaio della difficile reperibilità.
La rosa sul palco, presente in copertina, è dedicata a Danny Whitten, chitarrista dei Crazy Horse (la backing band del canadese, quella che l'ha seguito per tutta la carriera) morto per overdose durante prima di questa tourneè. Un musicista e amico che lo aveva influenzato molto, e con il quale aveva definito il suo personale suono chitarristico.
E' l'inizio del percorso in mezzo alle fiamme che Young intraprese dopo la fortuna di Harvest. Questo album è infatti un sunto delle registrazioni del tour riguardante il disco precedente: il pubblico si aspettava canzoni orecchiabili, chitarre acustiche e un suono addomesticato, e invece si ritrovò canzoni inedite, chitarre spigolose, musicisti confusi e pezzi nervosi. Tutto questo è presente in questo disco, approssimativo su molti livelli, ma schietto, diretto e impulsivo, cioè proprio quello che era Neil Young in quel periodo nero della sua vita. Un alternarsi di canzoni arrabbiate e di scure ballate pianistiche, che lasciano intravedere pochi spiragli di luce. In seguito ci saranno altre morti e separazioni, e il punto più basso si era appena affacciato sulla porta principale.

Balthazar Smith

-----> L I N K <-----

1 commento:

junio ha detto...

Ottimo disco che rappresenta la fine dell'epopea westcoastiana. "the bridge" e "love in mind" sono due stupende ballate, "don't be denied" e "last dance" due dolenti capolavori.