20090214

MARTEDI' SERA

E' un pò come se non ci fossimo mai parlati prima. Appena entro a casa sua mi ritrovo di fronte qualcosa di diverso. Un imbarazzo iniziale, la sensazione che mai più riusciremo a rivolgerci la parola con quel tono affettuoso di un tempo.
L'impaccio non è solamente iniziale, ma anche seguente al mio ingresso, dopo che mi sono levato il cappotto e aver percorso l'ingresso. E' tutto uguale a prima. I mobili, i soprammobili, i quadri, la stessa luce che entra dalle finestre in giornate autunnali come questa. I nostri corpi. Identici. Le rughe non contano. Quelle sono forse l'unica cosa che ci avvicina a essere vivi in tutta questa finzione. Mi siedo, o come dice lei mi accomodo, su una sedia in salotto. Giuro, non ho voglia. E neanche lei. Circostanze, come i discorsi che portiamo avanti. Proviamo a ripescare nella memoria le passioni che sappiamo appartenere all'altro, risvegliando qualche cosa da un torpore.
E' da qualche settimana che le cose mi stanno andando bene. Davvero. Sono felice. Ho iniziato a portare i mobili nella nuova casa, a far conoscere ai miei amici il mio nuovo indirizzo. Ho imparato a cucinare da solo, a uscire con persone nuove. A vedere le cose in maniera diversa. I miei nuovi vicini sono una coppia molto simpatica, di qualche anno più grandi di me. Lei lavora in un supermercato, lui sta seguendo un dottorato. In ingegneria credo.
Una sera penso che li inviterò a casa mia. Sono diventato molto bravo con l'arrosto. E anche con le patate. La ricetta mi è stata data da mia madre, lei me le faceva sempre la domenica. Mi alzavo più tardi, e le mangiavo il pomeriggio.
Lei è li che mi guarda, ma in realtà non guarda me. Guarda indietro, verso quello che eravamo. Se ora sapesse che so cucinare si arrabbierebbe. Per questo mento, le dico che vado avanti a surgelati. In parte è vero. Non cucino tutto da me.
Mi ricordo che una volta le proposi di smettere di cucinare, che tanto potevamo continuare a prendere cibo pronto per il resto della nostra vita, e a me sarebbe andato bene uguale. Fu il motivo di una discreta lite. Ancora non ne capisco il motivo.
Erano molte le cose che non capivo. Iniziavamo a discutere per nulla e poi finivamo io in soggiorno e lei in camera da letto. A volte io uscivo e andavo al cinema per un paio di ore. Lo so che può sembrare strano, ma stavo bene anche se non avevamo risolto nulla. Lei rimaneva a casa a leggere, io mi guardavo i western, in una sala che riproponeva i vecchi classici. Serate a tema. Noi di solito litigavamo il martedì, quindi mi sono fatto una discreta cultura con quel tipo di cinema. Il cinema francese era il venerdì, mentre quello tedesco il mercoledì. Ecco, quest'ultimo non lo conosco un granchè. Mi sono perso diversi film importanti.
Dove vivo ora non ci sono molte sale che fanno questo tipo di programmazione. Ogni tanto però durante la settimana, vado a vedere qualche film nuovo. Giusto per tenermi informato. I western di una volta, no, quelli non li fanno più.
Capiamo entrambi di non avere molto da dirci, alzo le spalle e domando degli scatoloni. Mi indica il ripostiglio, non voglio disturbarla, quindi mi arrangio da me. Percorro di nuovo il corridoio e apro la porta dello sgabuzzino.
Vicino alle scope, tra i detersivi c'è lo scatolone con tutti i miei 33 giri, con la scritta del mio nome sul cartone. Mi abbasso per raccoglierlo e trovo appoggiata sullo scaffale in alluminio una foto di noi due abbracciati. La foto è a colori, incorniciata in nero, e il vetro è rotto. La guardo attentamente, ma non capisco.
Qualcosa è successo. Ma non ricordo.
Prendo lo scatolone sotto il braccio, la saluto, conosco la strada. La sera torno a casa. Ma prima di entrare vado dai miei vicini, suono. Li invito per la cena. Ho deciso di preparare qualcosa. Non ho voglia di passare la serata da solo, e ho bisogno che qualcuno mi ringrazi per la cena. Dopo che lascio lo scatolone in camera mia, inizio a cucinare. Quella foto mi rimane impressa nella testa. Come quando ci si sveglia al mattino cercando di capire cosa si è sognato, ma con scarsi risultati. L'arrosto invece pare sia venuto bene.
Ho detto loro di presentarsi verso le nove, ma in ritardo di dieci minuti si presenta solo lui, scusandosi e chiedendomi di rinviare. Sulla mano vedo che ha un taglio, con un fazzoletto legato per fermare il sangue. In quell'attimo mi sono ricordato di tutto. Della cornice. Di quell'ultima serata passata con lei sotto lo stesso tetto. Lo saluto, lo tranquillizzo dicendogli che non c'è problema, l'arrosto lo metto in frigo. Passo la serata da solo. Guardandomi un vecchio western in tivù. Anche questo è un martedì sera.

Bastian Smith

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