20110816

r a c h e l 's | the sea and the bells

Un tentativo di far annegare l'ascoltatore. Per questo credo che se non ci sia la volontà di sprofondare negli abissi, lasciandosi trasportare dalla corrente, non sia possibile apprezzare quello che accade in questo disco.
È anche vero che se si riesce a fare questo, non si può realmente riemergere per raccontare quello che si ha ascoltato: perchè non è semplice e forse non è nemmeno giusto che lo sia. All'incirca come un segreto che è meglio custodire con se stessi, senza farne parola con nessuno, un'esperienza intima, talmente personale da diventare un'esperienza a tutti gli effetti. Qui di parole non se ne sentono, e non se ne avverte la mancanza. 
In sostituzione ci sono lamenti, sussurri, mormorii e le agitazioni del sottomare, che non si fanno sentire ma ci sono. Il mare non è in tempesta finchè non si mostra come tale, non ha nessuna remora o gentilezza.
In una formazione nella quale formalmente gli strumenti sono classici ma l'attitudine è quella del rock più strumentale, nella quale l'attesa trova la stessa importanza del rumore e dell'apertura melodica, non c'è nulla da canticchiare o da ascoltare distrattamente. Sarebbe come pretendere di controllare il flusso del mare, tentando di rendere razionale qualcosa che non lo può esserlo. I Rachel's, che sono un gruppo legato al concetto e al bilanciamento cerebrale delle varie parti, sembrano assecondare questa corrente, lasciandosi anch'essi travolgere da quello che loro stessi hanno tentato di impostare: sperimentazioni, distorsioni, melodie, spigolosità e ondeggiamenti ambient. Tutto questo forma la cifra stilistica che li contraddistingue e che li avvicina all'ispirazione poetica dalla quale sono partiti: The sea and the bells di Pablo Neruda.

Balthazar Smith

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